“…. Sulla cresta del Redentore si respira l’aria pulita delle altitudini e si sfiorano le nuvole, sospese ad un cielo cobalto e questo ben sanno le lunghe file di escursionisti che lentamente, piccoli nella dimensione imponente della montagna, la risalgono.
Eppure proprio qui,
dove l’uomo meno ha potuto nella propria, secolare opera di smantellamento e di erosione della naturalità, si avverte anche una sensazione di vuoto,
di qualcosa che manca e che lascia incompiuto il quadro di sacrale bellezza che circonda chi sale.
E’ l’anima stessa della montagna che sembra essersi perduta:
l’anima vivente rappresentata dal guizzo e dalla vitalità dei grandi animali,
nati tra le pietre e dalle pietre calcinati.
Ma…
quando il camoscio appenninico,
presto,
tornerà a danzare sulle pendici del Redentore e della Costa del Vettore…
allora…
il quadrosarà finalmente e nuovamente completo nei suoi tratti leggendari… “
(Zanetti 1993)